Il quadro teorico di riferimento ha utilizzato i contributi offerti dal modello processo–persona–contesto di Bronfenbrenner[1] (1979). Secondo tale prospettiva, la Comunità residenziale può essere concepita come una “nicchia ecologica”, ovvero una particolare situazione ambientale che si può rivelare favorevole per lo sviluppo dell’individuo in conseguenza delle sinergie tra forze derivanti dalle caratteristiche sia dell’ambiente che della persona.

Siamo convinti che ogni bambino e ogni bambina, ogni ragazzo e ogni ragazza abbia il diritto di avere una famiglia. Per questa ragione il nostro programma è teso a sviluppare occasioni di incontro all’interno di famiglie già esistenti, che per varie ragioni si sono disgregate, dando la possibilità di intrecciare nuove relazioni affettive per quei bambini e bambine, ragazzi e ragazze che non potranno mai più fare conto sulla famiglia biologica.

Se la famiglia è un “sistema”, se il comportamento di ogni individuo influenza quello degli altri e ne è a sua volta influenzato, possiamo affermare che una famiglia maltrattante o fortemente trascurante è una famiglia che scrive “tracce di dolore”.

Una famiglia maltrattante o fortemente trascurante “non è meglio di niente!”. Il bambino e la bambina, il ragazzo e la ragazza, sui quali sono state incise tracce di maltrattamento e trascuratezza sono bambini, bambine, ragazzi e ragazze di Comunità. Sono bambini, bambine, ragazzi e ragazze “speciali” che hanno trascorso un’infanzia infelice e nella maggioranza dei casi si porteranno sempre dietro ferite profonde le cui ripercussioni sulla vita e sulla personalità adulta possono essere molteplici.

Alcuni di noi lo sanno molto bene perché sono ex bambini e bambine di Comunità.

I “bambini, i ragazzi di Comunità” necessitano di sperimentare un’esperienza relazionale ripartiva positiva, che possa fungere da riparazione rispetto ai traumi subiti con le figure di attaccamento della loro infanzia: ciò di cui hanno bisogno è una relazione affettiva ed emotiva stabile e priva dei vissuti abbandonici che hanno caratterizzato le loro precedenti relazioni significative. Grazie alla relazione con un adulto sano, costantemente presente anche nei momenti difficili, i ragazzi possono sperimentare che esistono adulti “buoni”, in grado di occuparsi di loro e di tollerare la frustrazione che deriva dal rapportarsi ad un bambino, ad un ragazzo così affettivamente danneggiato.

Ecco perché la Comunità si configura come un’ambiente sempre terapeutico[2]globale[3] quando tiene conto:

  • dell’esperienza di soddisfazione riportata dagli educatori e dai ragazzi/e;
  • della percezione del cambiamento dei giovani ospiti su alcune dimensioni significative valutate sia da parte dei minori ospiti che da parte degli educatori;
  • del cambiamento percepito nella stima di sé;
  • della percezione del clima quotidiano misurato tramite la qualità della comunicazione con gli educatori ossia secondo la capacità di coesione, di adattabilità e di comunicazione;
  • della partecipazione della routine quotidiane;
  • di esibire un modello di formazione-supervisione integrata come metodologia di intervento clinico;
  • di costruire legami di attaccamento sicuro.

L’obiettivo di questo progetto mira, dunque, a sperimentare l’efficacia di programmi multidimensionali specifici volti a rispondere ai bisogni dei ragazzi adolescenti vittime di abuso, maltrattamenti, povertà, emarginazione e disadattamento sociale e, quando possibile, delle loro famiglie. Se le famiglie sono assenti, questo progetto mira a disegnare, in rete con i Tribunali per i Minorenni e gli Enti[4] di appartenenza, un nuovo scenario affinché si possa concludere un progetto di vita sostenibile nella logica dei diritti dei bambini e delle bambine, dei ragazzi e delle ragazze[5].

Attraverso la formulazione e la realizzazione di progetti di intervento intensivi ed integrati fra organizzazioni e professioni si vuole favorire:

  • lo sviluppo della personalità dei ragazzi, nonché lo sviluppo delle loro facoltà, delle attitudini mentali e fisiche in tutta la loro potenzialità;
  • sviluppare il senso del rispetto dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e dei principi consacrati dalla Carta delle Nazioni Unite;
  • sviluppare nei ragazzi il senso del rispetto per i genitori, per la propria identità, i valori culturali, la lingua nonché il rispetto per i valori nazionali del paese nel quale vivono, del paese in cui può essere originario e delle civiltà diverse dalla propria;
  • preparare i ragazzi ad assumere le responsabilità della vita in una società libera, in uno spirito di comprensione, di pace, di tolleranza, di uguaglianza tra i sessi e di amicizia tra tutti i popoli ed i gruppi etnici, nazionali e religiosi e delle persone di origine autoctona;
  • preparare i ragazzi ad assumere le responsabilità della vita in una società libera, in uno spirito di comprensione, di pace, di tolleranza, di uguaglianza tra i sessi e di amicizia tra tutti i popoli ed i gruppi etnici, nazionali e religiosi e delle persone di origine autoctona;
  • acquisire il rispetto per l’ambiente naturale[6].

Inoltre, i suddetti interventi intensivi ed integrati sono, altresì, rivolti alle famiglie affinché possano affrontare progressivamente i loro problemi, migliorare le competenze genitoriali e la qualità delle proprie relazioni familiari e sociali, divenendo protagoniste attive del progetto che le riguarda.


[1] Bronfenbrenner Urie (1917-2005) psicologo e professore alla Cornell University presso la facoltà di “Sviluppo umano, studi familiari e psicologia”.

[2] Le relazioni che curano: la comunità per minori come base sicura, di Sara Scarsi del 12/01/17 dal Giornale delle Scienze psicologiche State of Mind.

[3] Le Comunità per minori. Modelli di formazione e supervisione clinica; P. Bastianoni e A. Taurino.

[4] Referenti dei Servizi Sociali affidatari e con i Tutori.

[5] Dichiarazione Universale dei Diritti del Fanciullo – New York, novembre 1959.

[6] Art. 29 della Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia.